Diamo un’occhiata alla mitologia greca e scopriamo insieme quali sono le figure da considerare prototipi delle moderne streghe…
Ucci ucci, sento odor di cristianucci!
Mitica frase, oramai sdoganata, tratta dalla favola di Pollicino (leggila qui: http://www.fiabelandia.it/pollicino.asp). Nonostante nella favola sia pronunciata da un orco, è diventata ben presto sinonimo di strega maligna mangia bambini. E nell’antichità?
La mitologia classica offre pochi ma significativi casi in cui poter riscontrare il prototipo di un’odierna strega: vecchia megera, di aspetto terrificante, crudele e cacciatrice notturna di bambini.
Queste figure sono le Arpie, Empusa, Lamia, Gelo e Mormo. Approfondiamo la loro conoscenza…
Le Arpie
Letteralmente «Rapitrici», sono demoni, figlie di Tarmante e di Elettra, raffigurati come donne con ali o uccelli con testa femminile (quindi iconograficamente simili alle sirene). Hanno artigli aguzzi e abitavano le isole Strofadi, nel Mar Egeo. Il loro numero non è ben identificato, ma in genere sono tre: Aello o Nicotoe, Occipite, Celeno. Sono rapitrici di bambini e di anime, hanno quindi una caratteristica del tutto sovrapponibile a quella di una strega nel senso moderno del termine.
Empusa
Era una creatura della cerchia di Ecate, divinità protettrice della magia, e aveva un piede in bronzo. Poteva assumere qualsiasi forma e terrorizzava donne e bambini. Il mito narra che si nutriva di carne umana e per attirare le sue vittime si trasformava in una bella donna. Affascinare con l’inganno e sedurre le vittime, quindi, son due aspetti peculiari di Empusa, che la fanno a tutti gli effetti un prototipo di strega, come di vampiro.
Lamia
Era una mortale amata da Zeus, ma dal quale non riuscì ad avere figli perché ogni volta che ne partoriva uno Era, moglie di Zeus, faceva in modo che morisse. Lamia, allora, si nascose in una caverna solitaria e divenne un mostro invidioso delle altre madri, di cui rapiva i figli per mangiarne le carni e succhiare loro il sangue. Nel nostro immaginario, quindi, è più vicina a un vampiro, ma ha anche aspetti legati a una strega.
Gelo
Era l’anima in pena di una ragazza dell’Isola di Lesbo morta giovane. Il mito narra che tornava sulla terra a rapire bambini, come una strega nella concezione moderna più diffusa.
Mormo
Era un demone femminile che era solita mordere i bambini e renderli zoppi. Era usata come spauracchio dei bambini qualora si fossero comportati male.
Mormolice
Era un demone femminile, conosciuta per essere stata la nutrice dell’Acheronte (il fiume che le anime dei defunti devono attraversare per raggiungere gli Inferi) e per questo considerata facente parte del mondo dei morti e dei fantasmi. Come Mormo, era usata come spauracchio dei bambini.
Come avrai notato, solo le Arpie e Lamia presentano un apparato iconografico, seppur minimo. Le altre figure sono citate solo nelle fonti letterarie, ma non è difficile immaginarle nei loro voli notturni in cerca di facili prede… e detto ciò, io vado a sbarrare la porta di casa e a nascondermi sotto il letto…sperando che il posto non sia stato già occupato!
N.B. Tutte le immagini dei vasi di questo articolo sono tratte dal Beazley Archive
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Come mai Lamia, nella raffigurazione sopra, è legata e torturata da cinque satiri?
Questa è davvero una splendida domanda. Nella letteratura scientifica pochi sono gli studi su questo vaso e in generale sulla figura di Lamia. Personalmente trovo interessante l’approfondimento di Franca Landucci Gattinoni dal titolo “Agatocle, Ofella e il mito di Lamia” (ecco il link per leggerlo in PDF http://riviste.unimi.it/index.php/aristonothos/article/viewFile/465/651). In particolare, la studiosa afferma che Lamia fu spesso oggetto di scherno nella commedia greca. Partendo dalla certezza che il satiro è strettamente connesso a questo genere letterario, si potrebbe intravedere nel vaso la trasposizione figurativa del rapporto commedia-Lamia, dove la prima deride e tortura la seconda. Ammetto però che questa è solo una mia interpretazione. Esageriamo? La mia prima ipotesi sul vaso è invece legata al vino: Il satiro è una figura legata ad esso e ai suoi eccessi, come ho scritto in altri post. Io vedo, quindi, cinque satiri ubriachi che esorcizzano la propria paura della morte affogandola nel vino e deridendo e imponendo la propria forza vitale (altra loro caratteristica) su un totem di morte e simbolo dell’aldilà quale è Lamia. Questo legame tra morte-paura-vino è anche sottolineato dal viso frontale del satiro sulla destra, una sorta di maschera più che un viso: nella ceramica il viso frontale è usato solo in scene di combattimento/lotta, in cui chi perde o sta morendo è così rappresentato, in scene di ubriacatura in cui il bevitore vomita o sta male, in scene dionisiache (frequente Diosiso rappresentato così o addirittura direttamente una sua maschera) e in scene di morte, come ad esempio le scene in cui è presente Medusa. L’analisi su questo vaso è uno studio che sto portando avanti da poco e spero darà i suoi frutti presto… Sono mie due personali ipotesi, quindi se vuoi darmi qualche nuovo spunto o se hai critiche o obiezioni da fare sarei felice di confrontarmi con te!
Grazie infinite per questo tuo commento! A presto…
A.R.
Molto interessante. Penso che ogni spiegazione possa essere giusta.
Io, con la vista forse un po’ distorta dal mio forte femminismo, mi sono quasi innervosita alla vista della raffigurazione vascolare in questione. 🙂 Cinque satiri, che nel linguaggio corrente indicano uomini dediti a sfrenatezze, che torturano una donna. Lo stomaco ha reagito con disgusto e rabbia.
E tanti saluti agli studi classici! :/
Mmmmm… piccolissimo problema: in questo vaso Lamia ha sia il seno di una donna anziana che il pene! Nella commedia infatti si fa spesso riferimento alla sua bisessualità. Hai però fatto un’altra acuta osservazione: il rapporto tra la donna, considerata ai margini della società, e l’uomo Greco, detentore del potere sociale. Ovviamente nel caso delle figure femminili legate alla magia tutto si accentua. Se pensi che possa essere interessante ci potrei fare un post…
Tutto quello che mostra e dimostra l’orrendezza della supremazia maschile, del patriarcato, della segregazione subita dalle donne e dal maschilismo imperante in ogni epoca (tranne a Creta. W Creta forever!) mi interessa. Certo, la bisessualità di Lamia nella raffigurazione apre le porte a molte interpretazioni, specie se si considera il mito di Ermafrodito e il ruolo dell’omorastia in Grecia.
Non posso che concordare…e allora post fu! Lo scriverò presto, promesso…Grazie ancora ☺️
Ma grazie a te!
Non vorrei sbagliare ma la favola citata è “Jack e il fagiolo magico” e non Pollicino.
Infatti leggendo la favola indicata nel link la frase in questione non c’è.
Buongiorno, avevo anch’io lo stesso dubbio quando ho scritto l’articolo, così ho fatto una ricerca. Ho scoperto che il personaggio Jack in Italia è chiamato Pollicino o persino Giacomino. Le storie, tuttavia, non sono le stesse e spesso si confondono e uniscono, infatti nella versione di Pollicino che ho trovato e inserito non vi è traccia di fagioli. Per quanto riguarda l’esclamazione dell’orco, come ben vedrà nel link indicato, il racconto è diviso in due pagine: la frase è nella seconda! Grazie per il commento e l’attenzione dimostratami… alla prossima!