Il sacrificio è un «atto rituale attraverso il quale si dedica un oggetto o un animale o un essere umano a un’entità sovrumana o divina, sottraendolo alla sfera quotidiana, come segno di devozione oppure per ottenere qualche beneficio» (treccani.it).
IL SACRIFICIO NELLA GRECIA ANTICA
Il sacrifico era fondamentale nella religione pagana e rappresentava un atto imprescindibile nella vita sociale:
è manifestazione festiva per una comunità. In particolare rilievo è posto il contrasto con la quotidianità: si fa il bagno, si indossano vesti pulite, ci si adorna, in particolare si si mette attorno al capo una corona fatta di rami intrecciati – usanza che non esisteva ancora ai tempi di Omero.
[W. Burkert, La religione Greca, Jaca Book, Milano 2010, p. 148]
Le vittime sacrificali più nobili erano il bue e il toro, ma le più comuni erano la pecora, la capra e il maiale. Diffusi erano anche i sacrifici con maialini, poli, uccelli (oca, colomba). I pesci erano un’eccezione.
IL MITO E LE FASI DEL SACRIFICIO
Per capire le varie fasi del sacrificio, utilizzeremo il testo di W. Burkert, La religione Greca (Jaca Book, Milano 2010, pp. 148-150) e dobbiamo sempre considerare che il rituale era soggetto a variazioni a secondo della città, fermo restando che di base il sacrificio animale si basava sull’uccisione della vittima e il successivo banchetto.
Ciò che giungerà alle divinità saranno i fumi e i vapori del grasso che salgono in cielo durante la cottura delle carni: una divisione che risale al mito di Prometeo che, per favorire gli uomini, ingannò Zeus durante il primo sacrificio. Il dio, infatti, dovette scegliere quale parte sarebbe andata alle divinità e quali sarebbe rimasta agli uomini e scelse la parte delle ossa, furbamente coperte da Prometeo con grasso luccicante e appetitoso, pensando fosse quella più buona. Fu così che in realtà le carni e le interiora, saggiamente coperte dalla pelle, rimasero agli uomini.
1. ORNAMENTO DELL’ANIMALE E PROCESSIONE
Anche l’animale viene adornato, avvolto di bende; s’indorano le corna. L’animale viene accompagnato in processione fino all’altare […]. Una ragazza illibata, alla testa del corteo, reca sul capo un canestro sacrificale, con dentro il coltello nascosto da cereali e focacce. Viene portata anche una brocca per l’acqua e spesso in incensiere a colonna; non mancano i musicanti, per lo più suonatore o una suonatrice di flauto.
2. solco sacro, lavanda E CHICCHI D’ORZO
Una volta giunti all’altare o al luogo sacro
si traccia un solco circolare, che racchiude il sito sacrificale, l’animale e i partecipanti al rito, mentre canestro sacrificale e brocca per l’acqua vengono portati intorno ai partecipanti […]. Tutti stanno in piedi «attorno all’altare». Il primo atto collettivo è la lavanda delle mani: questo è l’«iniziare», árchesthai. Anche l’animale viene asperso con l’acqua; il suo scuotere la testa viene interpretato come cenno di assenso […*. Si dà da bere al toro, così anche lui è costretto a piegare la testa.
Dal canestro sacrificale i partecipanti prendono ora i chicchi d’orzo non macinato (oulaí, oulochýtai), li tengono in mano mentre si fa silenzio: chi presiede al sacrificio recita una preghiera.
3. pREGHIERA
La preghiera era fondamentale anche durante il sacrificio alle divinità ed era recitata da chi presiedeva il sacrificio:
risuonano alte e solenni parole d’invocazione, di desiderio, di voto, le mani levate verso il cielo; poi, come a convalida di quanto detto, tutti gettano i loro chicchi verso l’altare e la vittima del sacrificio; il alcuni riti si gettavano pietre. Anche questo, insieme alla lavanda delle mani, è chiamato «iniziare» (katárchesthai).
4. sacrificio dei peli
Dopo la preghiera si procede col rituale e ci si concentra sull’animale da sacrificare:
Il coltello sacrificale nel canestro è ora scoperto. Chi presiede al sacrificio lo prende e si avvicina, tenendolo nascosto, alla vittima: le taglia alcuni peli dalla fronte e li getta nel fuoco. Tale «sacrificio di peli» è nuovamente, e per l’ultima volta, un «iniziare». Ancora non è stato versato sangue, ma la vittima non è più inviolata.
5. UCCISIONE, MACELLAZIONE E LAMENTO
Si procede con la fase più cruenta del rituale:
È ora la volta della macellazione. Alcuni animali più piccoli vengono sollevati sopra l’altare e si taglia loro la gola; il bue viene abbattuto con una scure, poi gli si apre l’arteria del collo; il sangue viene raccolto in una coppa e spruzzato sull’altare e sulle parti laterali: è un’azione di pietà «aspergere col sangue» l’altare (haimássein). Le donne presenti devono emettere, al colpo mortale, urla acute e stridule; «l’usanza greca di accompagnare con urla il sacrificio» sottolinea il culmine emozionale dell’evento; la vita sovrasta la morte.
6. SCUOIAMENTO e SVENTRAMENTO
Ucciso e macellato l’animale, questo deve essere scuoiato e sventrato perché le interiora sono fondamentali per portare a compimento il rito:
le interiora, soprattutto cuore e fegato (splánchna), vengono dapprincipio arrostite sul fuoco dell’altare. Talvolta è il cuore ad essere strappato per primo, ancora palpitante, dal corpo. Assaggiare subito parte delle viscere è privilegio e obbligo della cerchia più interna e ristretta dei «partecipanti».
7. CONSACRAZIONE RESTI NON COMMESTIBILI
Fulcro del rito è la consacrazione dei resti:
I resti non commestibili vengono poi «consacrati»: si depongono le ossa sul rogo apparecchiato sopra l’altare «nel giusto ordine»; nelle descrizioni omeriche vengono sovrapposte anche «parti iniziali» di ogni membro dell’animale, piccoli pezzi di carne, di ogni membro dell’animale: si vuole così allusivamente ricomporre l’essere smembrato […]. Nel fuoco si gettavano anche offerte di cibo, focacce e piccoli quantitativi di purea; soprattutto il sacrificante versa vino ne fuoco che l’alcool s’infiammi.
8. Banchetto
Dopo aver mangiato cuore e fegato e quando il fuoco è spento, si inizia a banchettare con le carni dell’animale sacrificato:
iniziano i preparativi del banchetto: la cottura e arrostitura delle carni. Tale operazione ha per lo più carattere profano. Non di rado vige tuttavia il divieto di portare a casa la carne, essa dev’essere interamente consumata nel santuario. La pelle spetta al santuario o al sacerdote.
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