il mito di Busiride
Busiride, figlio di Poseidone, era un re dell’Egitto che era solito sacrificare gli stranieri al fine di placare una terribile siccità che si era abbattuta sul suo regno. Un giorno giunse Herakles, durante il suo viaggio per raggiungere i pomi delle Esperidi, e venne catturato dai servi del re per subire la stessa fine degli altri viandanti. L’eroe, tuttavia, riuscì a liberarsi e persino a uccidere il malvagio re.
Leggiamo il resoconto dei Apollodoro (Bibliotheca 2, 5, 11):
Dopo la Libia attraversò l’Egitto, dove regnava Busiride, che era nato da Poseidone e Lisianassa, figlia di Epafo. Egli aveva l’abitudine di sacrificare gli stranieri sopra l’altare di Zeus in obbedienza o un oracolo: infatti quando una carestia novennale s’abbatté sull’Egitto, giunse da Cipro Frasio, un esperto indovino, il quale disse che la carestia sarebbe cessata se ogni anno essi avessero sacrificato a Zeus uno straniero. Per primo Busiride sacrificò l’indovino; poi continuò con gli altri stranieri che sopraggiungevano. Eracle dunque fu catturato e trascinato presso l’altare, ma spezzò i legami e uccise Busiride insieme a suo figlio Anfidamante.
[trad. it. G. Guidorizzi]
Il mito di Busiride è riprodotto circa 40 volte nell’intera produzione vascolare attica e spicca la rappresentazione fatta dal Pittore di Pan. La pelike è datata al 450 a.C. circa ed è conservata al Museo Nazionale di Atene (inv. CC1175).
LA PELIKE DEL PITTORE DI PAN

Come si può notare, la composizione della scena è piramidale e mostra Herakles, con indosso la leontea, suo attributo iconografico insieme alla clava e alla faretra, che afferra dalle gambe Busiride e lo sta per scagliare contro i servi.
Quest’ultimi son suddivisi su entrambi i lati del vaso: sul lato principale, si trovano quello con un martello pronto a colpire Herakles e uno accovacciato non le mani in segno di stupore per la scena a cui sta assistendo, ovvero il suo re sconfitto dalla potenza dell’avventuriero greco; sul lato secondario i servi sono in fuga mentre impugnano chi una hydria (vaso per contenere acqua) chi una faretra. Al centro del lato B un servo porta sulle spalle un piccolo tavolo e nella destra una torcia.

Sulla scena principale, tuttavia, protagonista assoluto è l’altare, posto in primo piano e che ricorda la triste sorte che l’eroe stava per subire (il suo sacrificio a Zeus), una sorte che risulta essere spezzata dalla forza dell’eroe, rappresentata proprio dalla sua clava appoggiata all’altare.
Il re e i suoi sottoposti sono resi con tratti somatici africani tipici nella ceramica attica, come si evince dai nasi verso su, le grandi labbra e le teste rasate. Tutti, inoltre, sono circoncisi e netta è la differenza tra loro e il greco Herakles:
L’artista comunica più del semplice vigore dello scontro dietro l’altare dove l’eroe doveva essere massacrato. La composta capigliatura e la tesa forza del greco è deliberatamente in contrasto con il molle fisico dei suoi avversari, con la abietta (anche agli occhi dei Greci) circoncisione e le pose scomposte, sebbene uno di essi stia combattendo con una mazza.
[ J. Boardman, L’arte classica, Laterza, Roma-Bari 2005, p. 109]
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