L’individuazione delle forme si basa sulle caratteristiche morfologiche (ad esempio l’articolazione dell’imboccatura, la presenza e il numero delle anse), sui parametri dimensionali (ossia il calcolo dei rapporti proporzionali fra gli elementi morfologici di un vaso, quali ad esempio il diametro dell’orlo e l’altezza) e sulle caratteristiche tecniche e funzionali:
- Ceramica da cucina → olle, pentole, tegami, clibani, coperchi
- Ceramica da mensa → piatti, coppe, bicchieri, brocche
- Ceramica per la preparazione dei cibi → bacini, mortai
- vasi da toiletta → unguentari e i balsamari
- Contenitori per le derrate
- forme destinate a usi diversi
PENTOLA
Recipiente profondo, dall’imboccatura piuttosto larga (in media tra 25 e 35 cm), caratterizzato sempre dalla presenza di un battente interno o comunque di un incavo per l’appoggio del coperchio. Il corpo è generalmente capiente, con il profilo quasi cilindrico o poco arrotondato e il fondo piano. Il recipiente potrebbe corrispondere al latino caccabus, vaso associato dalle fonti letterarie alla bollitura a fuoco lento di carni, verdure e in misura minore pesce, che poteva essere di metallo o terracotta. Esso poteva essere posto direttamente sulla brace oppure sopra un treppiede o mediante piedi in terracotta applicati.
OLLA
Si distingue dalla pentola per l’altezza del corpo genericamente maggiore almeno una volta e mezza/due il diametro dell’orlo, e per l’imboccatura più stretta, solitamente priva dell’appoggio del coperchio; ciò non esclude un uso del coperchio anche per questa forma.
Con aula o olla si indica nelle fonti un recipiente in terracotta, metallo o vetro: il principale uso dell’olla in ceramica è la cottura di varie pietanze e la bollitura, ma in generale poteva essere anche impiegata per contenere provviste nella dispensa.
Le olle in impasto depurato, utilizzate probabilmente come contenitori per solidi e liquidi, sono caratterizzate genericamente da una spalla sporgente e da un collo poco pronunciato; talvolta il recipiente può essere dotato di una duplice ansa.
Le olle in ceramica comune depurata si differenziano rispetto a quelle in ceramica grezza per la diffusione molto più limitata e per la minore varietà formale. Diverso è anche il loro utilizzo, in quanto non presentano le tracce di annerimento caratteristiche dei recipienti destinati alla cottura e perciò esposti al fuoco. Si tratta dunque di contenitori da provvista e da conserva, usati, come testimoniano le fonti, per contenere alimenti solidi e liquidi, quali uva, frutta ed olio.
Le ollae perforatae corrispondono ai nostri vasi da fiori. Si tratta di olle con fondo piatto e prive di anse, di dimensioni non particolarmente grandi (il diametro dell’orlo si aggira tra 10 e 12, l’altezza tra 10 e 15 cm), dotate di orlo estroflesso nettamente distinto dal corpo ovoidale, il cui profilo esterno è risaltato dalle spesse linee di tornio; la loro caratteristica distintiva è la presenza di un foro, praticato nel fondo, per lo scolo dell’acqua.
TEGAME
Forma poco profonda e con un ampio diametro dell’imboccatura; il diametro dell’orlo è compreso tra 2,5 e 5 volte l’altezza complessiva del recipiente. Il fondo è piatto e le anse sono per lo più assenti. Il recipiente è utilizzato per cuocere alimenti a secco, forse con l’utilizzo di olio, attraverso il processo della frittura e della tostatura, per la cottura di carni, pesci e verdure e poteva servire anche come piatto da portata. Alcuni fondi presentano evidenti tracce di anneritura da fuoco. La forma potrebbe ricordare la patina, patena o patella, un recipiente dalla larga imboccatura, vasca più o meno profonda, con parete diritta, fondo piano, utilizzato soprattutto per la cottura rapida di pesci e verdure. Con ogni probabilità il tegame era utilizzato anche per cuocere focacce all’interno di forni, infatti, all medesima forma sono riconducibili anche quei contenitori da fuoco caratterizzati da uno spesso strato di vernice rosso scuro, steso sulla superficie interna e fino all’orlo, come antiaderente, funzionale alla cottura del pane e della patina, una pietanza molto comune a base di uova, che avveniva a fuoco lento in forno o direttamente sulle braci; tali tegami, chiusi con il coperchio, potevano essere posti sotto la cenere.
CLIBANO
CASSERUOLA
Si distingue dal tegame per l’imboccatura di minore ampiezza e soprattutto per la presenza del battente per l’appoggio del coperchio; in realtà anch’essa potrebbe rientrare tra le patinae. Il fondo, in genere non conservato, doveva essere piatto o leggermente bombato.
PADELLA
Si distingue dal tegame e dalla casseruola per la presenza di una lunga ansa a bastoncello che permette di reggere il recipiente ad una certa distanza dalla fonte di calore durante la cottura. La padella doveva essere utilizzata per operazione di frittura e tostatura di alimenti e, per questo motivo, richiama la latina sartago, che era realizzata per lo più in metallo. Il fondo doveva essere probabilmente piatto.
COPERCHIO
Esso era applicato prevalentemente su pentole ed olle, anche se non si esclude un utilizzo per i tegami. La forma corrisponde al latino operculum.
Per questa forma è particolarmente difficile tracciare linee stilistiche e cronologiche. Infatti alcuni tipi, data la loro funzionalità, perdurano per più secoli, senza apparenti cambiamenti morfologici.
I coperchi in ceramica acroma sono esemplari in genere di dimensioni limitate (intorno ai 10-12 cm), probabilmente utilizzati per chiudere forme chiuse da mensa.
INCENSIERI
In latino turibula, vasi con impasto da fuoco utilizzati per la combustione di sostanze organiche, come documenta la presenza di ceneri nere molto grasse sulla vasca interna di numerosi esemplari. La forma è costituita in genere da un’ampia vasca troncoconica, spesso decorata da cordonature ondulate e modanature rese ad impressioni, e un alto piede a tromba.
Frequenti tra la ceramica grezza, sono meno diffusi nell’ambito della ceramica comune depurata. Si tratta di recipienti dalla foggia molto caratteristica, conformati solitamente a calice, con vasca a profilo esterno convesso e alto piede; l’orlo, variamente articolato, e la carena possono essere decorati con pizzacature o tacche.
La presenza frequente di annerimenti da fuoco sulle pareti interne e nella zona dell’orlo fanno tpotizzare un loro utilizzo come bruciatori per essenze o altre sostanze odorose, spesso riferibili a contesti funerari o cultuali, ma impiegati anche in ambito domestico.
Gli incensieri sono documentati dalla tarda età repubblicana fino al tardoantico, con una particolare concentrazione delle attestaziom nel corso del I-II sec. d.C., sia in ambito centro e nord-italico che provinciale.
Ampiamente diffusi nel mondo romano, in contesti abitativi e funerari, dalla prima età imperiale (ma compaiono già anche nella tarda età repubblicana) fino ad epoca tardoantica, essi presentano notevole varietà nella forma, nella decorazione e anche nelle dimensioni, che rende spesso difficile redigere una tipologia.
BACILE
Recipiente dall’imboccatura piuttosto larga (in genere oltre i 25 cm, con una media degli esemplari attestati tra 35 e 40 cm). È piuttosto complesso trovare l’esatta corrispondenza con il termine latino di riferimento.
SCODELLA
Si distingue dal bacile per l’imboccatura minore dell’orlo (sotto i 25 cm). Potrebbe essere accostato al catinus o al boletar, recipienti utilizzati per contenere cibo da servire a tavola.
COPPETTA
Recipienti di piccole dimensioni sotto i 10 cm che richiamano il latino acetabulum.
BROCCA
Forse accostabile al latino urceus e urceolus, è un recipiente chiuso utilizzato specificatamente nel servizio da mensa per versare liquidi.
Le brocche, generalmente monoansate e provviste di un’imboccatura larga, un ampio orlo, a volte anche trilobato, corpo ovale e fondo piano, venivano utilizzate prevalentemente come vasi da mensa destinati a contenere e versare vino o acqua, anche se non si esclude per certe forme pure un uso come vasi da dispensa o da conserva. Erano utilizzate per contenere anche aceto, mosto o conserve di frutta, e come misure di capacità.
Esse rappresentano il tipo di contenitore in ceramica comune depurata più diffuso durante l’epoca imperiale, prima nella variante acroma, caratteristica del I e del II sec. d.C., poi nella variante verniciata, che si affianca a quella acroma a partire dalla media età imperiale, diventando poi prevalente in età tardoimperiale/tardoantica.
ANFORA
Utilizzata per contenere liquidi ma non specificatamente per versarli, si distingue per la presenza di un collo medio-alto ed una doppia ansa che ne favorisce il trasporto.
OLPE
Corrispondente della latina lagoena, è un recipiente utilizzato per contenere e versare liquidi, in particolare vino. Le fonti letterarie testimoniano un loro uso anche per temporanee attività di conserva. Sono dotate di un lungo collo sottile, di una stretta imboccatura (al di sotto dei 10 cm in genere), di un corpo che può avere profilo piriforme, ovoide o globulare, continuo o carenato, di un’ansa (in genere singola) impostata al centro del collo e sopraelevata. Si differenziano dalle brocche sostanzialmente per l’imboccatura più piccola e per la conformazione del collo, stretto e più o meno sviluppato in altezza.
Dal punto di vista funzionale, le olpai, così come le brocche, sono utilizzate come recipienti da mensa destinati a contenere e versare liquidi. La loro funzione principale in età romana era quella di contenere il vino o il mosto sulla mensa, mentre in età tardoantica è testimoniato l’uso della lagoena per contenere l’acqua.
Risultano attestate già nella tarda età repubblicana, raggiungendo l’apice della loro diffusione durante il I sec. d.C. Localmente sono documentate anche nei secoli successivi, pur costituendo una tipologia caratteristica soprattutto della prima età imperiale.
Le olpai costituiscono però anche un elemento ricorrente e tipico dei corredi tombali di I e II sec. d.C., sia nelle necropoli dell’Italia settentrionale (Angera, Nave), che in quelle delle aree limitrofe, come il Canton Ticino e la Slovenia (Solduno, Emona). In particolare, la loro comparsa nelle necropoli lombarde durante la tarda età di La Tène e l’età augustea viene considerata un indizio del completamento del processo di romanizzazione nella regione.
BACINO
I bacini, pelves o conchae, servivano per molteplici usi, connessi alla vita domestica, soprattutto per operazioni di lavaggio e per la preparazione degli alimenti (anche con la stessa funzione dei mortaria). Presenta vasca molto ampia e pareti spesse.
BICCHIERE
COPPA
Le coppe, gli acetabula, sono contenitori con imboccatura larga, ampia vasca e piede generalmente ad anello, utilizzati per svariati usi sulla mensa, nella dispensa e forse anche per la toilette e la cosmesi.
Assai poco attestate risultano tra la ceramica comune depurata le coppe ed altri recipienti da mensa di forma aperta (ciotole, scodelle , piatti).
Le coppe in ceramica comune costituiscono un prodotto secondario rispetto alle ceramiche fini da mensa, delle quali ricalcano anzi spesso le forme o i modelli, e risultano diffuse massimamente tra la tarda età repubblicana ed il primo secolo dell’età imperiale.
MORTAIO
I mortaria erano specificatamente destinati alla preparazione dei cibi, per schiacciare o triturare.
In alcuni casi, per facilitare l’operazione di sminuzzamento degli alimenti, la superficie interna si presenta disseminata di grossi inclusi sporgenti, appositamente inseriti nell’impasto.
PIATTO
Il catinus, catillus o patina, è un recipiente con una larga apertura e vasca poco profonda, utilizzato sulla mensa per servire i cibi e per mangiare: la loro dimensione anche piuttosto grande permette di ipotizzare un uso collettivo del piatto, uso che sarà tipico del modo di mangiare dell’età tardoantica. Proprio il largo diametro e la ridotta profondità consentono di utilizzare i piatti anche come coperchi, sia di contenitori da fuoco, sia da dispensa.
TERRINA
UNGHENTARIO/BALSAMARIO
Questi recipienti, destinati a contenere unguenti e oli profumati, sono molto diffusi in ambito romano dall’età tardo repubblicana all’inizio del I sec. d.C., quando vengono sostituiti dai balsamari in vetro.
ANFORETTA
Con la definizione di anforetta si intende un contenitore caratterizzato dal collo generalmente cilindrico, una larga imboccatura, corpo capiente ovoidale o globulare, fondo piano e due anse, destinato a conservare nella dispensa derrate alimentari liquide o semiliquide in quantità ridotte rispetto alle anfore da trasporto (diam. dell’orlo generalmente tra 7 e 12 cm).
Sono diffuse ovunque nel mondo romano tra I sec. a.C. e I sec. d.C.
Vengono trattate insieme alla ceramica comune depurata, della quale presentano spesso anche le caratteristiche tecniche di impasto e lavorazione.
Questa tipologia ceramica sembra diffusa a partire dall’età flavia soprattutto nell’Italia centrale (Ostia, Settefinestre), ma è ben attestata anche in area norditalica, ad es. a Modena, con un grande numero di varianti.
GRANDI CONTENITOI/GRANDI FITTILI
Grandi contenitori che, come i dolia, presentano spessore delle pareti e dimensioni maggiori delle altre stoviglie ed erano impiegati per lo stoccaggio delle derrate liquide e solide o per un più generale utilizzo domestico. L’impasto di fabbricazione presenta l’impiego di argille simili per qualità a quelle utilizzate per la fabbricazione dei laterizi e dei dolii.
BOCCALINI
I boccalini monoansati in ceramica comune depurata, verniciati o acromi, sono caratterizzati dalle dimensioni molto o relativamente modeste, dall’imboccatura larga, rotonda o trilobata con beccuccio versatoio, dall’assenza di un vero e proprio collo, dal corpo ovoide o globulare e dal fondo apodo o con piede appena accennato.
La loro forma sembra derivare da quella delle più grandi brocche, anche se non è da escludere una derivazione diretta dai boccalini in ceramica a pareti sottili, attestati soprattutto tra l’età flavia e la fine del II sec. d.C. Si tratta comunque di recipienti da mensa, utilizzati probabilmente – a seconda delle loro dimensioni o della presenza o assenza di un beccuccio- per versare liquidi o come vasi potori.
VASETTI MINIATURISTICI
Un’apparizione caratteristica del I sec. d. C. – soprattutto tra l’età tiberiana e l’età flavia – è costituita dai cosiddetti vasetti miniaturistici o piriformi, a proposito dell’utilizzo e della definizione dei quali sono state avanzate in passato interpretazioni molto diverse tra loro. Nella maggior parte dei casi si tratta di ipotesi non suffragate da diretti riscontri archeologici e ciò vale anche per quella più comunemente accettata, che vede in essi tappi o, meglio, «cavatappi» d’anfora. Caratteristiche morfologiche generali sono le dimensioni assai ridotte, l’assenza di anse, una strozzatura sotto l’orlo, il corpo più o meno espanso ed il fondo a puntale, che di solito non permette al vasetto di stare in piedi. Le caratteristiche tecniche e la presenza ricorrente di imperfezioni e la fattura solitamente poco accurata, sembrano identificarli come oggetti strettamente funzionali.
VASI A LISTELLO
I cosiddetti vasi a listello, caratteizzati da un listello più o meno pronunciato corrente sotto l’orlo e spesso provvisti di un beccuccio versatoio e/o di una «grattugia» di grossi inclusi affioranti sulla superficie interna, sono annoverabili, al pari dei loro omologhi in ceramica invetriata, tra i recipienti destinati alla preparazione, ovvero alla triturazione, dei cibi e delle sostanze alimentari. Diffusi soprattutto a partire dalla tarda età imperiale, ed in particolar modo nel corso del IV e V sec. d.C., presentano evidenti affinità tipologiche con forme della terra sigillata africana D e loro imitazioni locali.
Bibliografia
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